Il materiale che non è affondato dopo lo spaventoso tsunami che l’11 marzo ha colpito il nord est del Giappone sta galleggiando al largo nelle acque dell’Oceano Pacifico.
Migliaia di detriti composti da pezzi di automobili, camion, barche, case, oggetti di ogni genere. Addirittura, resti delle migliaia di cadaveri delle persone date per scomparse dopo lo tsunami.
In un periodo compreso fra tre e cinque anni le correnti e i venti marini porteranno questa enorme massa, inquinante e disastrosa per le specie marine e l’ambiente (molti relitti sono contaminati dal materiale radioattivo uscito dalla centrale nucleare di Fukushima), verso le coste degli Stati Uniti, poi verso le Hawaii per poi farla nuovamente girare sul continente asiatico.
Molto materiale si distruggerà nel tragitto, rileva lo Scripps Institution of Oceanography della University of California di San Diego. Quanto non raggiungerà le coste verrà trasportato dalle correnti verso il “Great Pacific Garbage Patch”, l’enorme isola di rifiuti che si è formata a partire dagli anni del 1950 e che si ritiene occupi sino al 5% dell’intero Oceano Pacifico, in diverse masse ben distinte.
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