Nel bel mezzo dell’operazione Odyssey Dawn, lanciata sabato 19 marzo dalla coalizione occidentale contro le forze armate di Gheddafi, non si può fare a meno di evocare il mandato d’arresto internazionale contro il colonnello libico emesso nell’agosto 2008 dalla giustizia del Libano.

Gheddafi è accusato dal governo di Beirut di aver rapito, nel 1978, Moussa Sadr, capo spirituale della comunità sciita libanese mentre era in viaggio a Tripoli. Di Sadr non si è saputo più nulla di preciso. Potrebbe trovarsi in una prigione libica oppure potrebbe essere stato ucciso. Nessuno all’infuori del clan Gheddafi sa con certezza cosa gli sia accaduto.

In virtù del mandato d’arresto e di quanto dispone il diritto internazionale, se Gheddafi venisse fatto prigioniero dovrebbe essere consegnato alle autorità libanesi. Una possibilità che appare remota. Una seconda possibilità sarebbe il suo deferimento alla Corte penale internazionale dell’Aja, se questa avviasse nei suoi confronti una procedura per crimini contro l’umanità.

Come sostengono diversi ambienti medio orientali, il Libano avrebbe sottoscritto la risoluzione dell’Onu per la no-fly zone in Libia proprio per giungere a mettere le mani su Gheddafi e a portarlo a Beirut, dove verrebbe processato per direttissima.
Se questo fosse vero allora difficilmente la giustizia libanese accetterà di farsi da parte e di rinunciare alle sue pretese a favore della giustizia “internazionale”.
Il 4 marzo scorso la Corte di Giustizia del Libano aveva deciso di fissare al prossimo 1. aprile l’apertura di un processo contro Gheddafi e di sei alti funzionari libici, sospettati di essere parte coinvolta nella scomparsa di Sadr. Un segnale chiaro di come a Beirut la questione sia diventata più che mai attuale.