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Egitto. Israele cerca una nuova strategia


Il sabotaggio di un gasdotto nel Sinai (nella foto dell’agenzia Reuters) da parte di attivisti di Hamas e di al Qaeda è un cattivo presagio per la frontiera sud di Israele. Lo Stato maggiore israeliano si sta preparando a difendere una frontiera lunga 270 chilometri e pacifica da oltre 30 anni.

La caduta di Hosni Moubarak e la nuova situazione politica in Egitto obbligano il governo israeliano a una totale revisione della sua strategia difensiva. La generazione attuale dei generali israeliani non ha esperienza di combattimento nel deserto perché è stata formata per combattere le milizie di Hamas e di Hezbollah. L’eventualità dell’apertura di un fronte contro l’Egitto necessiterà il rimodellamento delle milizie attive nel sud di Israele, che saranno chiamate a controllare e proteggere 270 chilometri di frontiera con il deserto egiziano.

I servizi segreti israeliani hanno rivelato che Hamas intende approfittare dell’instabilità in cui si trova l’Egitto per utilizzare il Sinai come base operativa contro Israele. Lo scorso 5 febbraio un commando di Hamas ha fatto saltare in aria il gasdotto nel Sinai che alimentava Israele e Giordania. Centinaia di militanti di Hamas e di al Qaeda sono riusciti ad attraversare la frontiera per raggiungere il nord del Sinai. Stando ai servizi segreti israeliani, avrebbero creato un centro di comando per coordinare le operazioni con elementi legati ai Fratelli musulmani egiziani.

Sul piano politico in Egitto, Israele si è espresso poco, ritenendo che sia presto per fare previsioni azzeccate. Dopo le dimissioni di Mubarak, Israele ha avuto numerosi contatti con il regime dei generali attualmente al comando in Egitto. Il 12 febbraio il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak ha discusso telefonicamente con il suo omologo egiziano Mohamed Tantawi per approvare il consolidamento della difesa nel sud del Sinai dalla minaccia di Hamas e al Qaeda tramite lo stanziamento autorizzato di un secondo contingente di soldati israeliani. Un primo gruppo di 800 uomini vi era già presente.

Il maresciallo Tantawi non da nessuna importanza strategica alla penisola del Sinai e non si preoccupa di vederla cadere nelle mani di una coalizione formata da Hamas, al Qaeda e Fratelli musulmani. Men che meno appare interessato a stanziare uomini e armi per la difesa di Israele. Malgrado sia disposto a discutere con il governo israeliano, questo dovrà verosimilmente organizzare da solo le operazioni necessarie alla sua difesa.
Il pericolo per gli israeliani è che rischiano di trovarsi nella stessa posizione degli americani in Afghanistan, condannati ad attaccare i bastioni degli estremisti islamici in Pakistan, ossia in un paese che dovrebbe essere loro alleato.

Una minaccia potrebbe venire anche dall’Arabia Saudita, oltraggiata dalla maniera in cui è stato trattato Hosni Mubarak. Il re saudita ha considerato l’apertura di relazioni diplomatiche e militari con l’Iran. Oltre a rinforzare la minaccia iraniana che pende su Israele, questo potrebbe portare al finanziamento dei militari egiziani favorevoli alle tesi islamiste, causando un allontanamento dell’Egitto dall’Occidente e dunque dagli israeliani.
Come detto la situazione in Egitto è ancora caotica ed è presto per fare previsioni. Sono aperti diversi scenari ma purtroppo nessuno di questi appare favorevole a Israele.

(Fonte: Slate.fr/Jacques Benillouche)

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