In un’intervista diffusa dal sito romando albinfo.ch, che verrà trasmessa questa sera alla televisione kossovara RTK , il Consigliere agli Stati ticinese Dick Marty dice la sua opinione dopo le polemiche sorte dalla pubblicazione del suo rapporto, nel quale faceva il punto sul traffico d’organi che si era svolto in Kosovo alla fine degli anni ’90.
Ne riportiamo qui di seguito un passaggio.
Il Kosovo umiliato dal rapporto sul traffico d’organi presentato al Consiglio d’Europa? A questa domanda Dick Marty risponde che è ben cosciente di come la verità possa far male ma precisa che a nessun momento ha mai voluto criticare o criminalizzare un’intera comunità.
“Ho cercato di svolgere il lavoro che mi era stato commissionato – ha detto Marty – Non ho chiesto di avere questo mandato, mi è stato assegnato. L’ho eseguito al meglio nel rispetto della mia coscienza. Accetto tutte le critiche eccetto quella di disonestà intellettuale. Credo che i miei quarant’anni di carriera possano dimostrarlo.”
Marty prosegue spiegando come, di fronte alle critiche, abbia cercato di non farsi trascinare dalle emozioni: “Le persone che ancora sono in preda a forti emozioni possono esprimere propositi più o meno inaccettabili. Come alcune similitudini che sono state fatte con i nazisti. Credo che il tempo metterà in ordine tutto quanto.
Se leggete il mio rapporto vedrete che non ho mai scritto che il premier kossovaro Hashim Thaci sia direttamente implicato in un traffico di organi, ma che sono implicate persone a lui vicine. E’ dunque difficile che non ne abbia mai sentito parlare.
Inoltre, contrariamente al libro scritto da Carla Del Ponte, io sono preciso su molti dettagli. Non scrivo che si tratta di centinaia di espianti illegali di organi. Parlo solo di qualche caso.
Il mio rapporto è molto severo nei confronti dei serbi, non vi è alcuna comprensione per i crimini orribili che hanno commesso. Ma i crimini commessi dai serbi non possono giustificare i crimini commessi da una parte di kossovari, non dall’intero popolo e insisto su questo. Un crimine non può compensarne un altro crimine.”